Sonny, il ragazzo leone e i diritti delle seconde generazioni
Se deve scegliere un’etichetta da appiccicarsi addosso, Sonny Olumati preferisce quella di creativo. “Artista no, non ho quella pretesa”. La sua forma di espressione prediletta è la danza, che pratica e insegna ormai da molti anni, prima nella sua Ostia, dove è cresciuto, poi in contesti sempre più importanti, come l’Accademia di Danza di Roma o il Centro Sperimentale di Cinematografia. Da qualche anno, però, ha scelto di cimentarsi anche nella scrittura, dando alle stampe il suo primo libro, intitolato “Il ragazzo leone”. Dentro ci ha messo molto di sé, del proprio vissuto e della propria visione del mondo. Primo, il protagonista della storia, è un bambino italiano dalla pelle nera, proprio come lui. Il suo fedele pupazzo, invece, si chiama Malcom, come Malcom X, che, spiega il ballerino, “è la coscienza che ho dentro la testa, la figura di cui più mi interesso”. Pagina dopo pagina, Primo e Malcom si ritrovano immersi nello spazio, simbolo di un luogo dove le diversità sono talmente tante da finire per essere irrilevanti. “Nello spazio”, sottolinea Sonny, “sono altre le caratteristiche che determinano chi sei, conta quello che sai fare”.
L’esperienza della diversità, Sonny la vive sulla propria pelle, da sempre. È nato a Roma ma non ha (ancora) la cittadinanza italiana, perché i suoi genitori sono nigeriani. Ha un evidente cadenza romana ma la pelle nera e i capelli crespi. ‘Contraddizioni’ che non sono facili da portare addosso, soprattutto quando si è piccoli. “Sarebbe stupido se dicessi che non ci ho sofferto, soprattutto da ragazzino; perché i bambini non hanno schemi, sono istintivi, dicono quello che credono di pensare e sono il riflesso dei genitori, che gli insegnano paure e stereotipi”. Quel disagio, vissuto anni fa in prima persona, lo incontra ancora oggi negli occhi dei suoi allievi, che magari, come lui, appartengono alle cosiddette seconde generazioni. Segno che la strada da fare è ancora molta. “La civiltà è uno sforzo, è una scelta che deve fare l’individuo, non è scontata ma necessaria”. Un discorso valido, secondo Sonny, anche per il mondo dell’arte, soprattutto in Italia. “Il mondo artistico istituzionalizzato è allineato al pensiero comune, quindi non è creativo, non è multiculturale, non è fluido”.
Eppure, nell’arte, quella vera, Sonny continua a crederci con forza. “La creatività è uno stimolo che nasce dal non accettare le regole che gli esseri umani hanno imposto al mondo, significa sognare una società diversa perché quella che c’è non è abbastanza; l’arte è rivoluzionaria, mai reazionaria”. Ed è così che, nel suo percorso, vissuto personale e tensione artistica hanno trovato sbocco nell’impegno civile e sociale. “Io vengo da Ostia Nuova, da piazza Gasparri, un quartiere un po’ particolare ed è lì che ho capito che l’arte può avere un suo utilizzo”. L’espressione artistica come strumento per incidere sulla realtà, quindi, per costruire alternative. “Ad esempio, i ragazzetti che fanno break dance, usano la strada per fare qualcosa di diverso e il risultato è che dove ci sono i breaker non c’è lo spaccio, perché ci gira un botto di gente”.
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[Il racconto di Sonny fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Io e Sonny ci siamo conosciuti durante gli anni del liceo, al collettivo studentesco, e insieme abbiamo organizzato serate e corsi di hip hop a scuola. Poi, nel tempo, ci siamo sempre confrontati su temi politici e ci siamo rincontrati sulla battaglia delle seconde generazioni.]
Read MoreUn amico prezioso
Con Enzo Ciconte ci conosciamo da tanti anni.
È un amico carissimo, un compagno generosissimo che non perde mai occasione e voglia di trasmettere la passione di occuparsi della cosa pubblica a chiunque abbia voglia di discuterne ed è tra i massimi studiosi ed esperti di lotta alle mafie in Italia.
Se nel tempo ho saputo comprendere l’universo sotterraneo delle mafie, se ho sentito sempre di avere gli anticorpi giusti per riconoscerle e combatterle nel mio territorio, lo devo molto anche lui e ai suoi preziosi libri. È leggendo, o meglio, studiando i suoi scritti che la mia conoscenza di questi fenomeni si è fatta più matura, consapevole, precisa.
La lungimiranza e la sua onesta passione politica ne fanno un esempio necessario per chi ama la propria terra e sente di voler lavorare ogni giorno per migliorarla, farla crescere e liberarla.
Ci siamo rivisti qualche giorno fa, nella casa che in cui vive con la mitica e altrettanto impegnata compagna Adriana Bortoluz e che rappresenta il suo regno su misura: colma di libri, conoscenza e letteratura, proprio come chi la abita.
Sapere di avere il supporto di Enzo, come di Adriana, in questa campagna elettorale mi riempie davvero di tanto orgoglio.
La politica è impegno quotidiano
Si dice molto della falsità dei politici in campagna elettorale, delle loro promesse vuote e degli impegni non rispettati.
Per questo ho deciso, per una volta, di guardare al passato invece che al futuro e di mostrare quanto le mie parole siano lo specchio di un impegno reale, concreto, quotidiano: dai banchi di scuola del liceo all’esperienza della Assemblea Capitolina, passando per la militanza dell’età adulta.
Tra ottobre 2018 e luglio 2021 ho realizzato l’88% di presenze tra commissioni e consigli comunali, durante le quali ho presentato 78 interrogazioni e 48 accessi agli atti.
59 sono state le mozioni, di cui di cui molte relative alla tutela delle persone senza fissa dimora, oppure volte a migliorare la situazione della mobilità cittadina, o ancora a difesa dei diritti dei professionisti del terzo settore e delle persone con disabilità.
Una delle mozioni che mi è più cara, perché carica del valore importante e condiviso dell’antifascismo, è quella per lo sgombero dello stabile sito in Via Napoleone, illegalmente occupato dall’associazione CasaPound Italia.
Calcio e antimafia a Montespaccato
“Quando sono andato via, gli spogliatoi erano piccoli, ora sembrano quelli della Serie A; si vede che il Presidente e la società ci tengono alla squadra, ci trattano come professionisti”. Se c’è qualcuno che può raccontare, con cognizione di causa e spontaneità, l’evoluzione del Montespaccato Calcio negli ultimi anni, questo è Fabio Rossi, che dentro l’impianto sportivo ci è davvero cresciuto. “Ho iniziato a giocare qui che avevo quattro anni e mezzo, il campo era ancora di terra”. Vent’anni, fisico da bomber, Fabio nel quartiere è conosciuto come “l’ariete del Monte”, capace di svettare sopra le difese avversarie grazie al suo metro e novanta di altezza. Nella squadra del suo quartiere ha fatto tutta la trafila, dalla scuola calcio alle giovanili. “Poi, a 16 anni, sono andato all’Ascoli, giocando in under 17 e in primavera, e l’anno successivo mi ha acquistato il Perugia”. Una doppia frattura al malleolo, però, gli ha mischiato le carte in tavola. “Dopo l’infortunio, sono sceso di nuovo in serie D, passando alla VIS Artena”. Ancora un anno lontano da casa, quindi, per poi rientrare al Montespaccato, sempre in serie D. Ad accoglierlo, però, ha trovato una realtà molto diversa da quella che aveva lasciato.
Cosa è successo mentre Fabio era lontano? Molte cose, alcune negative, altre molto positive. Tutto ha avuto inizio nel 2018, quanto l’intero impianto della Polisportiva Montespaccato è finito sotto sequestro giudiziario, nell’ambito dell’operazione Hampa, che ha scoperchiato gli affari sporchi del clan mafioso dei Gambacurta. A seguito di quella vicenda, per salvare le storiche attività sportive, vitali in un quartiere periferico come Montespaccato, il Tribunale di Roma e la Regione Lazio hanno siglato un accordo e affidato la struttura all’ASP Asilo Savoia (ex IPAB, oggi Azienda Pubblica di Servizi alla Persona). È così che a Montespaccato è arrivato il progetto “Talento e Tenacia”, ideato e attivato, proprio dall’Asilo Savoia, nel 2016, a Genazzano. Si tratta di un programma molto articolato, che utilizza il calcio e i valori sportivi per aiutare i ragazzi e le famiglie che vivono in contesti fragili e di disagio economico e sociale. Gli inizi, però, non sono stati facili, come racconta anche Bruno Sismondi, ragazzo italo-uruguaiano che, entrato nel programma come calciatore, oggi ricopre il ruolo di viceallenatore della prima squadra. “Il primo anno c’era un po’ di diffidenza e allora noi giocatori siamo andati a farci conoscere nei negozi, abbiamo fatto dei servizi sociali per il quartiere, abbiamo organizzato eventi; tutto per far capire che avevamo buone intenzioni e per riavvicinare le famiglie”. L’operazione, per fortuna, è andata a buon fine e oggi il Montespaccato può vantare una scuola calcio con circa 400 iscritti e una prima squadra che, dopo 40 anni, ha riconquistato la serie D. “L’anno in cui abbiamo vinto il campionato d’Eccellenza”, racconta ancora Bruno, “nell’ultima partita contro il Tivoli, lo stadio era pieno”.
I successi sportivi, però, non dicono tutto della rinascita del Montespaccato Savoia Calcio, che oggi accoglie tifosi e visitatori in un impianto completamente rinnovato e intitolato a Don Pino Puglisi, uno dei simboli dell’antimafia. Non dicono tutto perché non mostrano ciò che avviene oltre il campo, nella vita quotidiana dei ragazzi che fanno parte di “Talento e Tenacia”. Ci pensa Massimiliano Monnanni, presidente della società, a spiegare qualcosa di più e a rendere il quadro completo. “Chi entra nel programma, per prima cosa, se ha smesso di studiare deve riprendere ad andare a scuola”. E per far sì che questo accada davvero, è lo stesso Asilo Savoia ad attivarsi. “Se hanno difficoltà, li sosteniamo nel percorso scolastico; se sono bravi e vogliono andare all’università, paghiamo noi parte delle rette; altrimenti, sulla base delle loro doti, gli facciamo fare dei corsi professionalizzanti”. È così, ad esempio, che Bruno è diventato viceallenatore o che Gianluca ha iniziato a lavorare al desk della palestra popolare che l’Asilo Savoia gestisce a Ostia. “E tutto questo”, precisa Monnanni, “prescinde dalla dimensione calcistica, perché ogni ragazzo, se vuole, rimane nel programma e continua a essere seguito anche se non fa più parte della squadra per scelte tecniche”. Il focus, quindi, è sulle persone più che sui calciatori. “I ragazzi hanno anche a disposizione uno psicologo per incontri collettivi e individuali”, spiega ancora il presidente, “e vengono coinvolti, due volte al mese, in attività di volontariato comunitario”. Il tutto suggellato dalla firma di un codice etico e di patti di responsabilità, pietre fondative di questo profondo percorso.
[Il racconto del Montespaccato Calcio e dell’Asilo Savoia fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Occupandomi, da sempre, di politiche sociali e di sport, ho avuto modo di incontrare più volte l’Asilo Savoia e di toccare con mano la qualità e l’importanza dei loro progetti, a partire da T&T La Palestra di Ostia.]
Sport come bene comune
Ieri, a PresaDiretta, si è finalmente parlato di un nervo scoperto e dolente dell’amministrazione del nostro paese – che a Roma prende carattere di una vera e propria emergenza – lo sport. La problematica che vive lo sport a Roma è frutto di carenze statali sovrapposte a carenze indotte dall’amministrazione Raggi. La sindaca, trincerandosi dietro le parole trasparenza e legalità, ha annullato la candidatura per le olimpiadi di Roma 2024. Ma non è stata questa la sola grande sconfitta, lo sport a Roma aveva bisogno di essere ridisegnato: occorreva investire sulle strutture, sulle palestre popolari, sui rapporti tra ASD e dirigenti scolastici. Al contrario, si è proceduto in maniera sommaria e senza accogliere i contributi che arrivavano dalle rappresentanze sportive.
Il risultato? Gli impianti con tante irregolarità sono ancora pienamente operativi, mentre le tante realtà che arrivavano a fine ciclo intessendo legami con il territorio hanno visto la loro attività di nuovo messa a bando. Un’amministrazione debole con i forti e forte con i deboli.
Tuttavia, se possibile, c’è un problema ancora maggiore che affligge lo sport su scala nazionale, una verità scomoda e frutto di realtà storiche: lo sport non è bene pubblico. Questo perché se da un lato le attività dello sport mainstream smuovono molti milioni di euro, dall’altro gli sport ‘minori’ e le ASD territoriali vivono sostanzialmente di piccole iniezioni di denaro privato: sponsor, piccoli finanziatori, mecenati ne coprono una parte ma per l’esistenza stessa della ASD è determinante il denaro delle famiglie che, pagando le quote sociali delle attività sportive, permettono ai figli di fare sport. Ma spesso le quote sociali sono troppo alte per essere pagate dalle famiglie meno abbienti e in questo modo la pratica sportiva invece di promuovere l’inclusione, diventa discriminazione. Pensare che lo sport in Italia possa essere pagato dal privato ed essere al contempo sport di tutte e di tutti, è una contraddizione in termini. Serve un cambio di paradigma che porti la parola Sport all’interno della nostra costituzione.
Mauro Berruto lo ha spiegato benissimo, ieri nel corso della puntata: occorrono politiche pubbliche che tutelino un bene essenziale. Per questo, se verrò rieletto, mi impegnerò a portare avanti personalmente una battaglia politica in questo senso, mi occuperò personalmente di fare in modo che anche gli sport minori abbiano una loro sede nella capitale, mi occuperò personalmente di far in modo che ci siano più scambi tra dirigenti scolastici e ASD, tra territorio e amministrazione centrale.
Mi impegnerò personalmente perché venga riconosciuto finalmente lo sport in quanto bene comune.
In piazza con David Sassoli
Ieri in piazza a Ostia eravamo in molte e molti, ad accogliere il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. L’entusiasmo nell’aria era palpabile, così come la voglia di vedere la nostra bella città assumere il posto, finalmente, di una vera e rispettata capitale europea.
Sì, perché l’Unione Europea ha investito su Roma, ma l’amministrazione precedente non le ha dato giustizia: come ha fatto notare Roberto Gualtieri, non si possono chiedere fondi all’Unione Europea e poi ritrovarsi con le casse piene e i servizi non attivati. Perché poi nei territori la sfiducia nella politica cresce e soprattutto la qualità della vita delle persone peggiora, come è accaduto nel X Municipio.
La giornata di ieri è stata importante per questo, perché è stato chiaro a tutte e a tutti che tornando a vincere a Roma con Roberto Gualtieri e nel X Municipio con Mario Falconi presidente, la visione sul futuro della città è condivisa a tutti i livelli. In particolare il X Municipio deve essere assolutamente integrato all’interno di una visione cittadina, per la quale può rappresentare un’opportunità di crescita irrinunciabile.