La Locanda dei Girasoli
“Raro è trovare una cosa speciale tra le vetrine di una strada centrale; per ogni cosa c’è un posto e quello della meraviglia è solo un po’ più nascosto”.
I versi di Niccolò Fabi, riferiti a un immaginario negozio di antiquariato, sono in realtà perfetti anche per la Locanda dei Girasoli. Da oltre vent’anni, infatti, questo riuscito esperimento di ristorazione inclusiva se ne sta accucciato tra le pieghe del Quadraro, custodito da palazzoni popolari, praticamente invisibile finché non ci cadi dentro. “La posizione non è il massimo”, ammette Ugo Minghini, direttore del ristorante e tutor, “ma ci difendiamo, abbiamo la nostra clientela”.
Un pubblico di avventori che si è consolidato nel tempo, a partire da quel lontano 1999, anno di apertura della Locanda, primo esempio in Italia di lavoro auto sostenibile. “All’inizio era un progetto a conduzione familiare”, racconta ancora Ugo, “un’idea di due genitori che volevano dare un futuro lavorativo al loro figlio con sindrome di Down”. Un’iniziativa visionaria per l’epoca, visto che “i ragazzi down venivano tenuti chiusi in casa ed era inimmaginabile che potessero lavorare”. Ed infatti, soprattutto all’inizio, vederli prendere le comande e servire ai tavoli ha creato un po’ di sorpresa e qualche disagio nella clientela. Il feeling, però, ci ha messo poco a scoccare. “Ai ragazzi piace stare a contatto con la gente; avere un rapporto diretto con le persone e scambiarci una parola li rende felici”. Motivo per cui la ristorazione è il settore prediletto per l’avvio di progetti di questo tipo. Ovviamente, nel tempo, gli inciampi e le difficoltà non sono mancati. Il locale è stato anche a un passo dal fallimento, salvato dall’intervento del Consorzio Sintesi, che lo ha rilevato. Lo spirito di fondo, però, non è cambiato. “Noi ci teniamo ad essere a tutti gli effetti un’attività commerciale”, sottolinea con forza Ugo, “sennò saremmo solo una vetrina; anche i ragazzi devono essere consapevoli che questo è un lavoro, che loro ricoprono dei ruoli professionali in questo luogo e devono farlo funzionare in un certo modo”.
Così, da una piccola questione di famiglia, la Locanda dei Girasoli è diventata una realtà che impiega circa 20 persone e che forma continuamente giovani per aiutarli ad inserirsi nel mondo del lavoro. Come Claudio, che ha 22 anni e sta facendo tirocinio da commis di sala, dopo aver studiato all’istituto alberghiero di Tor Carbone. Con un velo di riservatezza, racconta che qui ha incontrato anche l’amore: “la mia fidanzata si chiama Benedetta, è molto bella e l’ho conosciuta perché è venuta a mangiare la pizza alla Locanda”. Anche Simone ha conosciuto la sua ragazza, Anna, nel ristorante, perché entrambe fanno parte della “brigata” da più di 10 anni. Lei è una cameriera esperta ed espansiva. Lui è un vulcanico commis di sala. “Ma so anche cucinare e pure fare la pizza”, precisa orgoglioso. Giovani energici e scalpitanti. “I miei ragazzi”, come li chiama Viviana, che del locale è la colonna portante, visto che ne fa parte da 21 anni. Una donna dolce e pacata, che parla a bassa voce e ama far domande. E che sogna di aprirsi, un giorno, un bar gelateria tutto suo. “Ma per ora lavoro qui, poi vediamo, piano piano”.
Il racconto de La Locanda dei Girasoli fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Ho conosciuto i ragazzi della Locanda durante la campagna elettorale del 2016, poi ho continuato a seguirli e, quando hanno rischiato di chiudere, li ho supportati nella ricerca di una nuova sede(una delle tante promesse che la Raggi ha fatto e mai mantenuto).
All’ingresso della Locanda dei Girasoli c’è una lavagna con una scritta colorata, con cui accogliamo tutti i nostri ospiti. Quel messaggio si chiude con la dichiarazione di ciò che ci sentiamo di essere: una famiglia. Per raccontare questo posto, non posso che partire da qui. dal fatto che lo sento come parte della mia famiglia. D’altronde, ci sono entrato circa 15 anni fa, quando mi trasferii a Roma per provare a lavorare nel cinema, come regista. Ho iniziato facendo il cameriere, poi il tutor per i ragazzi e oggi sono direttore del ristorante. Ma la dimensione familiare appartiene alla Locanda da molto prima del mio arrivo, direi dalle origini. Questo locale, infatti, è stato creato nel 1999 da due genitori che volevano fare qualcosa per dare un futuro al loro figlio con sindrome di Down. È stato il primo esempio in Italia di lavoro auto sostenibile e, per l’epoca, si è trattato di un’iniziativa visionaria, perché normalmente i ragazzi down venivano tenuti nascosti in casa ed era inimmaginabile che potessero lavorare. Non a caso, soprattutto all’inizio, vederli prendere le comande e servire ai tavoli ha creato un po’ di sorpresa e qualche disagio alla clientela. Poi, un po’ alla volta, le persone si sono abituate. Oggi, i progetti di questo tipo sono molti, soprattutto nel campo della ristorazione, perché è un settore che si presta molto. Ai ragazzi piace stare a contatto con la gente; avere un rapporto diretto con le persone e scambiarci una parola li rende felici.
Ovviamente, in questi anni, gli alti e bassi non sono mancati, come per qualsiasi ristorante. Anche la posizione non ci aiuta, siamo in una strada laterale, nascosti dai palazzoni del Quadraro. Il locale è stato anche a un passo dal fallimento e ci ha salvato l’intervento del Consorzio Sintesi, che lo ha rilevato. Inoltre, spesso ci siamo trovati a dover fare appello ai nostri amici, chiedendogli di sostenerci venendo a mangiare da noi una volta in più. Non riceviamo finanziamenti, tranne qualche bando per progetti di formazione. Questo significa che lo spirito di fondo che anima questo posto non è cambiato, ed è un bene. Noi ci teniamo ad essere a tutti gli effetti un’attività commerciale, sennò saremmo solo una vetrina. Anche i ragazzi devono essere consapevoli che questo è un lavoro vero, che loro ricoprono dei ruoli professionali in questo luogo e che devono farlo funzionare in un certo modo.
Oggi la brigata della Locanda dei Girasoli, come si dice nel gergo della ristorazione, è composta da circa 20 persone, me compreso. E abbiamo continuamente ragazzi nuovi che formiamo e che aiutiamo a inserirsi in altre strutture. Claudio, ad esempio, è l’ultimo acquisto. Ha 22 anni, ha studiato all’istituto alberghiero di Tor Carbone e sta facendo il tirocinio come commis di sala. A chi gli chiede come si trova, racconta che grazie alla Locanda ha incontrato la sua fidanzata; si chiama Benedetta e l’ha conosciuta perché lei è venuta qui a mangiare la pizza. Ma abbiamo anche una coppia tutta interna: Simone e Anna, che stanno qui da oltre 10 anni. Lei è una cameriera molto esperta, lui è direttore di sala ma gli piace anche cucinare e fare la pizza. La vera colonna della Locanda, però, è Viviana. Ha iniziato a lavorare qui prima di me, 21 anni fa. Dice che si trova bene qui, ma il suo sogno è aprire un bar gelateria tutto suo. E poi ci sono Emanuele, che è aiuto cuoco, e altri quattro camerieri, cioè Federico, Edoardo, Ettore e Francesco. Insomma, siamo una bella squadra.
Read MoreAl passo con Roma
Quella che non si ferma.
In questi anni da consigliere capitolino ho avuto la fortuna di stringere rapporti umani e politici con tante realtà territoriali, sociali e culturali. Ho attraversato Roma a piedi e in autobus, di giorno e di notte. Ho incontrato felicità, meraviglia, rabbia, povertà, generosità, speranza. Ho lavorato concretamente a proposte e atti mirati a rendere la vita in questa città un po’ più semplice, un po’ più giusta, più umana.
Oggi Roma è in difficoltà, come tutta l’Italia e tutto il mondo al tempo del Covid-19. La sfida per tutti è non solo dimostrarci responsabili anche in un momento duro, ma pensare a come sarà la città quando avremo superato la pandemia e potremo tornare a respirare la stessa aria. Nascoste dall’incapacità manifesta del governo cittadino e dall’immagine negativa che proietta sulla città e su tutti noi, ci sono una vitalità, una capacità di resistenza, una solidarietà, una forza di comunità, una voglia di tornare a correre che rendono concreta la speranza.È con queste energie, con queste persone, che voglio stare al passo, che la politica deve stare al passo. Al passo di quella Roma che continua a creare, a condividere, a voler crescere. Non una Roma da cartolina, non i soliti totem, ma ogni quartiere, ogni comunità, ogni spazio dove scorre la nostra vita.
Per questo credo che il mio impegno non può fermarsi qui ed al fianco Roberto Gualtieri alle prossime elezioni amministrative continuerò a rappresentare la Roma, parafrasando Pasolini, a cui hanno detto di “non splendere, ma che splende invece”.
Read MorePromesse elettorali sulla pelle degli OEPAC
Bisogna rendere univoco il profilo della figura a livello nazionale.
Ieri durante il Consiglio comunale sono intervenuto con non poca rabbia sul tema degli operatori educativi per l’autonomia e la comunicazione (OEPAC – ex AEC) per i ragazzi con disabilità delle scuole di Roma, perché è una questione a cui sono molto legato, essendo stato il mio lavoro per otto anni.
Sono intervenuto perché conosco bene la complessità della situazione, il lavoro molte volte mal retribuito, senza garanzie, l’interruzione dei contratti nel periodo estivo, l’incertezza del rinnovo a settembre. In queste settimane ho sentito parlare la maggioranza di inserimento nella pianta organica di Roma capitale, illudendo le lavoratrici e i lavoratori del fatto che già da settembre ci sarebbero state le prime assunzioni. Li ho sentiti rinnovare promesse per più di 5 anni ma non li ho mai sentiti parlare con competenza e professionalità di progetti di inclusione, di sviluppo dell’auto-efficacia, di crescita delle potenzialità individuali, ad esempio
.Quello che con onestà politica dovremmo dirci tutti è che per gli OEPAC servirebbe unire le battaglie per portare a conclusione il percorso di riconoscimento della figura a livello nazionale, cosicché il Ministero della pubblica istruzione possa finalmente bandire un concorso in grado di garantire la presenza di questa figura in ogni classe del nostro paese. Al contrario, secondo le promesse accompagnate alla delibera, rischiamo di ritrovarci nella stessa scuola due lavoratori con forme contrattuali a tutele differenti e, per assurdo, un dipendente di Roma Capitale che prima stava in ufficio diventare un OEPAC senza alcuna qualifica. L’ennesimo disconoscimento di una professionalità essenziale. I 5stelle stanno raccontando a migliaia di lavoratrici e lavoratori una favola sbagliata ad un mese dal voto.
Sinceramente non me la sento di ingannare i miei ex colleghi sul fatto che questa internalizzazione li farà assorbire perché semplicemente non è vero. Sarebbe stato molto più facile e utile in vista delle elezioni, ma non so vivere la politica in altro modo. Ciò su cui dovremmo impegnarci, e lo abbiamo messo nero su bianco in un odg a mia prima firma approvato nell’ottobre 2020, è:- rendere univoco il profilo della figura a livello nazionale e il conseguente inquadramento/livello in coerenza con le qualifiche/titoli richiesti (in nome nominem) – chiarire e generalizzare le mansioni che ancor oggi dipendono dal singolo Ente Locale – riconoscere quindi la figura al livello nazionale facendola rientrare nella classi di concorso del comparto scolastico – mettere in atto ogni utile iniziativa per verificare, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, istituzionali e non, la possibilità, nel rispetto della vigente normativa, di procedere, nelle more della piena applicazione del Regolamento di Roma Capitale, alla selezione dei soggetti a cui affidare il servizio di assistenza agli alunni con disabilità attraverso un sistema di accreditamento degli organismi fondato su procedure di pubblica evidenza.
Read MoreGENOVA 2001-2021
DOVE ERO VENTI ANNI FA?
A Genova, anche se i miei genitori mi credevano in vacanza da un amico. Anzi, il 19 luglio di 20 anni fa eravamo a Genova. In tanti, con sfumature diverse ma con la sensazione comune che partecipare al movimento fosse davvero un atto rivoluzionario, per cambiare un mondo da cui ci sentivamo respinti. Una sfida su cui volevamo mettere faccia e corpo, per dire ai cosiddetti “potenti” che le persone sono più importanti dell’economia, i legami più rilevanti della globalizzazione.
Genova veniva dopo Napoli e le manifestazioni contro il Global Forum. Un’esperienza di una violenza inaudita. Per giunta, una violenza attuata da uno Stato in cui, in fondo, credevamo. Ma Genova veniva anche dopo Goteborg e dopo Seattle. Ad ogni manifestazione, i governi che ospitavano i summit reagivano con identiche aggressioni. Ma nonostante questa scia di forte repressione, a Genova si era radunato un popolo pacifico che teneva insieme Don Gallo e Casarini, le suore e i movimenti femministi, le rivendicazioni ambientaliste e le grandi organizzazioni internazionali.
Di quei momenti, però, nella memoria è rimasto poco o nulla. Oggi Genova è tutta in un istante: quello in cui, in piazza, è arrivata la notizia della morte di Carlo. Per lui non c’è mai stata giustizia. Come non c’è stata giustizia per i tanti diritti negati in quei giorni. Anzi, chi governava quei processi, come De Gennaro, è stato anche premiato e ha fatto carriera. Eppure, quell’omicidio è stato conseguenza di errori e ingiustizie precise, oltre che di un pesante clima di tensione, iniziato già settimane prima. Su questo, ho un ricordo personale molto nitido. In quegli anni, ero un atleta delle Fiamme Gialle e ricordo di aver condiviso gli allenamenti con i ragazzi, poco più grandi di me, che avrebbero composto i reparti della celere durante il G8. Si allenavano tirandosi sassi e pigne, dentro le caserme. Erano stati fomentati, attrezzati e forse un pezzo di quella violenza era stata anche cercata. In fondo, però, erano giovani che avevano paura. Come Placanica, un assassino, autore di un gesto imperdonabile, ma anche una persona che è stata utilizzata e abbandonata.
Le cariche ingiustificate di manifestanti inermi, il blitz feroce della Diaz, le torture di Bolzaneto. Sono tutti eventi che hanno trasformato Genova in un emblema di repressione, come realmente è stato. Le profonde rivendicazioni politiche, purtroppo, sono finite sullo sfondo. Eppure, si tratta di temi ancora attuali. L’economia, il denaro, la moneta sono rimasti al centro degli interessi degli Stati, della loro organizzazione così come delle scelte globali. Ed è ancora urgente rimettere al centro i diritti umani, le persone, le comunità. Piano piano stanno rinascendo piccoli movimenti che ripropongono quelle battaglie. Sta alla politica, sta a noi, riconnetterli e trasformarli in rivendicazioni che riescano davvero a cambiare il mondo.
Read MoreEmergenza rifiuti
NON CI SONO PAROLE PER CATALOGARE L’ULTIMO ATTO DELLA SINDACA RAGGI
A mezzanotte di ieri la Sindaca ha deciso di protocollare l’ordinanza che nei fatti riaprirà la discarica di Albano Laziale.
Un atto arrogante che conferma l’incapacità di governo e dialogo di un’amministrazione che pensa di risolvere i problemi a suon di ordinanze, senza passare per l’ascolto di sindaci e cittadini del territorio metropolitano che invano nel pomeriggio di ieri hanno atteso di essere ricevuti, organizzando un sit-in di protesta sotto il Campidoglio.
Non è questa l’amministrazione che merita la Capitale. Non è giusto scaricare su altri le proprie inettitudini.
Siamo al fianco del Sindaco Massimiliano Borelli e dei cittadini di Albano nell’impugnare l’ordinanza, così come delle romane e dei romani nell’uscire dall’emergenza rifiuti.
Read MoreSport, periferie e Pier Paolo Pasolini
L’ASD Ragazzi di vita.
L’A.S.D. Ragazzi di Vita è nata da qui, dalla combinazione naturale di questi tre elementi.
Quando l’abbiamo fondata avevamo in mente l’amore per il calcio nella sua sfumatura più romantica. Senza vinti né vincitori, senza ingaggi milionari né odiatori sugli spalti, solo gioia di stare insieme e voglia di giocare. Il calcio uguale per tutti, insomma, e in cui tutti sono uguali. Perché chiunque segni un gol o sfoderi una parata decisiva prova esattamente le stesse emozioni, a prescindere dal luogo in cui si trova, dalle sue condizioni economiche o da quelle fisiche e cognitive. Oggi il lavoro dell’associazione è in mano a Claudio, Ugo, Marco, Francesca. Il tempo è passato ma i valori sono gli stessi. E gli sforzi si sono moltiplicati: più attività per ragazze e ragazzi con disabilità, più rete con il territorio, più socialità e condivisione. Allo stesso modo, si sono moltiplicate, su Roma, le realtà che praticano calcio integrato. Ne è un esempio Integra, con cui oggi abbiamo realizzato questo minitorneo di calcio a 5, ospitato dal Circolo Montecitorio.
Tutte le calciatrici e i calciatori di Ragazzi di Vita, in questi anni, hanno lasciato una traccia indelebile nel mio percorso. Un segno che porto con me e che è parte integrante dell’impegno lavorativo e politico con cui voglio garantire ad ognuno le stesse opportunità, la stessa capacità di coltivare sogni e passioni, la stessa possibilità di emozionarsi attraverso la pratica sportiva e l’incontro con l’altro. Abbattere le barriere architettoniche e culturali, perché lo sport non è solo competizione agonistica e business, ma è soprattutto molto altro.
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