Verso il 3 e 4 ottobre con Gualtieri Sindaco
Per restare al passo insieme.
Si è davvero in corsa per le elezioni quando si firma la candidatura davanti a un pubblico ufficiale. Non è la prima volta che lo faccio, eppure sento ancora lo stesso magone. L’ansia tipica del candidato, il timore di non essere all’altezza di una sfida difficile come quella che ci aspetta, ma soprattutto la responsabilità nei confronti di una comunità di persone incredibili, che hanno contribuito a disegnare l’impegno che sono. Per me la politica è riscatto, rivendicazione dei diritti negati. È scegliere di stare dalla parte di chi soffre, di chi non ce la fa, di chi sente dentro un dolore profondo chiamato disuguaglianza. Per me la politica è esattamente questo fin da quando salivo sui banchi del liceo col megafono in mano, perché ho scelto proprio la militanza come strumento di impegno per cambiare il mondo.
La prima volta che sono intervenuto in campidoglio mi tremava la voce, mi chiedevo da giorni se fossi all’altezza di quella sfida. Ho scelto di citare LuigiPetroselli e GiuseppeDiVittorio che, prima e sicuramente meglio di me, avevano preso parola in quell’aula. Ho scelto loro perché sono un simbolo di amore per la città ma anche di lotta per gli ultimi che la abitano, a cui la politica deve essere in grado di garantire dignità e opportunità. Ecco, il senso ultimo della firma che ho messo ieri è tutto qui. Un’altra firma per continuare, nel mio piccolo, a immaginare che le loro storie, il loro impegno, il loro esempio possa vivere nelle battaglie e nella responsabilità che avremo.
Ora verso il 3 e 4 ottobre per restare al passo insieme con Roberto Gualtieri Sindaco. Un impegno che avrò il piacere di condividere con Valeria Baglio, candidata come me al consiglio comunale. Ad unirci, oltre all’appartenenza politica e alla stima reciproca, è il desiderio di vedere Roma ripartire e riprendere un passo da capitale.
Lucha y Siesta è salva, la Regione Lazio vince l’asta per l’immobile!
Sportello antiviolenza, casa rifugio, spazio politico femminista e transfemminista, verde e polifunzionale. Lucha y Siesta è un bene comune e non andava venduto.
Grazie al Presidente Nicola Zingaretti e a Marta Bonafoni che hanno permesso alla città di mantenere questo spazio di libertà e partecipazione. È un giorno speciale per tutte le donne per le quali Lucha è stata casa, per le bambine e bambini che ci sono cresciuti, ma anche per tutti noi che ci abbiamo sempre creduto. È una vittoria della politica, quella che difende i valori e mette al primo posto le persone (la lotta alla violenza sulle donne, la loro soggettività e libertà di autodeterminazione, di contrasto agli stereotipi e di promozione delle pari opportunità).
Troppo spesso si parla di diritti e pari opportunità, ma nel concreto la politica si dimentica dei servizi che li tutelano. Non la Regione Lazio, che invece oltre a Lucha ha salvato in questi anni tutti i centri antiviolenza di Roma e provincia che rischiavano di chiudere.
I luoghi delle donne e delle libere soggettività non si svendono, si moltiplicano. Questo sarà anche il mio impegno.
Le Paralimpiadi sono lo Tsunami culturale che ci serve
Tra qualche ora si apriranno ufficialmente le Paralimpiadi di Tokyo 2021, alla loro 16ima edizione. Quando ne parlo, mi piace spesso ricordarne la straordinaria storia.
L’idea nasce dalle intuizioni di Ludwig Guttmann, un neurologo inglese che si occupò dei reduci della Seconda Guerra Mondiale che avevano avuto lesioni alla colonna vertebrale e che per questo non potevano più camminare; decise di proporre loro lo sport come metodo di terapia, sia fisica che psicologica, e nel 1948 organizzò i Giochi di Stoke Mandeville, in contemporanea con le Olimpiadi di quell’anno, a cui parteciparono atleti in sedia a rotelle. Nell’edizione dei Giochi del 1952 parteciparono atleti con disabilità diverse ed anche di origine olandese; è così che negli anni nacque il movimento paralimpico e la competizione divenne un evento sportivo internazionale.
In Italia il movimento, nato al CPO di Ostia grazie all’impegno del medico Antonio Maglio, sta vedendo negli ultimi anni una crescita esponenziale che ci permette di partecipare a #tokyo2020 con una delle delegazioni più numerosa di sempre, formata da 115 fra atlete e atleti.
Le Paralimpiadi oggi possono rappresentare un vero e proprio tsunami culturale! Attraverso le loro prestazioni, infatti, le atlete e gli atleti ci fanno osservare le cose da un’altra prospettiva, facendoci percepire la disabilità non come sinonimo di mancanza di dinamismo o di debolezza, ma come una forza: la forza di voler superare i limiti e realizzare performance sportive di alto livello. Ed è proprio coltivando questa nuova prospettiva che si possono cambiare le cose, iniziando a pensare alle città, ai servizi e allo sport non più per categorie (disabili e normodotati) ma accessibili a tutti.
E allora in bocca al lupo alla nostra grande delegazione di azzurri!
Una firma per l’eutanasia legale
Più di 500.000 persone in Italia hanno già firmato per il Referendum per l’Eutanasia Legale.
Anche io l’ho sottoscritto e, per dare un maggiore contributo a questa battaglia, ho aderito dando la mia disponibilità ad autenticare le firme raccolte nei banchetti organizzati dalle volontarie e dai volontari in giro per Roma, come quello di ieri a Piazza Anco Marzio (Ostia).
Perché ho pensato di farlo? Perché molte persone chiedono di vedere una fine alle proprie sofferenze in modo consapevole. A 37 anni dal deposito della prima proposta di legge sull’eutanasia, partecipare a questo referendum significa dare la possibilità a ciascuno, me compreso, di poter scegliere liberamente della propria vita fino alla fine.
L’Italia purtroppo è ancora indietro rispetto a diversi paesi europei, come Belgio, Olanda, Lussemburgo e Spagna, dove i malati con patologie irreversibili possono fare ricorso all’eutanasia attiva, cioè alla possibilità di ricevere la somministrazione di sostanze letali da parte di un medico, a quella passiva, che comporta la sospensione di un farmaco cosiddetto “salvavita”, e al suicidio assistito, che consente al paziente di ricevere farmaci letali che sarà lui stesso ad assumere.
Oggi grazie all’impegno di Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni e dei volontari del comitato promotore abbiamo l’opportunità di vincere questa battaglia! La quota minima di 500mila firme necessaria per indire il referendum è già stata raggiunta ma c’è tempo fino al 30 settembre per dare ancora più forza alla campagna Liberi Fino Alla Fine e raggiungere l’obiettivo di raccogliere almeno 750.000 firme!
Per questo vi aspetto anche oggi, dalle 18 alle 21, al banchetto organizzato sul Lungomare Duca degli Abruzzi, adiacente all’ingresso del porto turistico di Roma (Ostia).
Pasquale e le case popolari di Villaggio San Francesco
“Mi sono trovato i figli grandi e non me ne sono accorto”.
Seduto nella sua vecchia casa al Villaggio San Francesco (Acilia), circondato da pesanti mobili in legno scuro, Pasquale Di Roma si lascia andare a un velo di malinconia. “Quello che mi sono goduto più di tutti è il maschio, l’ultimo arrivato, che oggi ha 35 anni, perché l’ho seguito quando giocava a pallone; le due femmine, invece, le ho viste cresciute senza sapere come fosse successo”. Parla lentamente, cercando con cura le parole che gli consentono di srotolare il filo dei ricordi, sempre più indietro nel tempo. Pezzo dopo pezzo, ricostruisce le tappe principali di una vita fatta di lotta e di lavoro, in perfetta aderenza alla vecchia esortazione comunista. “Ho fatto tanti lavori diversi: il rappresentante, l’autista, l’escavatorista”. Nel 1970, poi, l’approdo in ATAC, dove è rimasto fino al momento fatidico della pensione, nel 2000. 30 anni di lavoro alla guida degli autobus ma anche 30 anni di battaglie per i diritti dei lavoratori. Per Pasquale, infatti, l’ingresso nell’azienda di trasporto pubblico ha rappresentato l’inizio dell’impegno sindacale. “Nel 1972 fui eletto delegato della FILT trasporti con 500 voti”.
Quell’elezione fu il naturale sbocco di un interesse già acceso per la politica, rimasto intatto ancora oggi. “Negli anni ’70 partecipai alle manifestazioni contro Ciccio Franco a Reggio Calabria e, anni dopo, a quelle contro Berlusconi a Milano”. Una voglia di partecipare che non si è spenta neanche con la pensione e, di volta in volta, si è incanalata in percorsi diversi. “Ho avuto per molti anni un negozio di tabacchi e giornali e ho fatto parte del sindacato edicolanti, poi mio figlio ha aperto un distributore di benzina e io sono entrato nella Confesercenti benzinai”. L’ultimo tassello di questa catena è il Comitato di Quartiere di Villaggio San Francesco, di cui Pasquale è Presidente dal 2017, eletto con il 60% dei voti. Un incarico arrivato quasi per caso e frutto di un carattere estremamente disponibile e di un’ampia rete di amicizie e conoscenze, tessuta in anni di vita nel quartiere. “Io vivo qui da più di 70 anni; la mia famiglia si trasferì ad Acilia nel 1945, quando io avevo due anni, e a San Francesco nel 1950”. All’epoca, le palazzine popolari che compongono il villaggio erano ancora in costruzione. Oggi, invece, sono al centro di un’annosa vertenza con il Comune di Roma, in cui il Comitato combatte in prima linea. Un braccio di ferro che ha radici proprio in quei lontani anni ’50. In origine, infatti, le palazzine furono edificate dal Comitato Romano Villaggio San Francesco, sulla base di una convenzione stipulata con l’amministrazione comunale, che mise a disposizione il terreno. L’obiettivo era quello di dare un tetto a decine di famiglie bisognose, uscite provate dalla Seconda guerra mondiale. I soldi necessari arrivarono in parte dal Vicariato e in parte da un gruppo di investitori, tra cui il Banco Santo Spirito e il Banco di Roma. Una volta completati i lavori, la proprietà degli immobili e la responsabilità della loro gestione passarono al Comune. Il risultato furono decenni di abbandono e disinteresse.
I problemi veri, però, sono iniziati una quindicina di anni fa, quando l’amministrazione capitolina si è svegliata dal torpore e ha messo mano alle carte del Villaggio, qualificando gli alloggi come ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) e inserendoli nel proprio patrimonio. Il risultato? Alle famiglie assegnatarie è stato proposto di acquistare l’immobile a prezzo di mercato, magari accendendo un mutuo. L’alternativa sarebbe lo sfratto. “Ma qui c’è gente in difficoltà”, sottolinea con forza Pasquale, “famiglie che pagano 8 euro di affitto; chi glielo dà il mutuo?”. Quello che i cittadini e il Comitato di Quartiere contestano è proprio la qualifica delle case come ERP. “Non possono essere considerate tali perché sono frutto di una donazione”, spiega ancora Pasquale. Quello che sembra un cavillo, in realtà, è un passaggio essenziale, perché consentirebbe agli inquilini di ottenere le case a riscatto, quindi con uno sforzo economico molto minore. È su questa linea che si batte il Comitato di Quartiere, ad oggi purtroppo senza riuscire a sbloccare la situazione..
Il racconto di Pasquale fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Ho conosciuto Pasquale durante la mia esperienza come consigliere municipale e grazie a lui ho scoperto una comunità molto bella, fatta di persone semplici, che tengono molto al loro quartiere.
Bocciata la Giunta Raggi, salve le aziende partecipate di Roma, le lavoratrici e i lavoratori.
Oggi in videoconferenza, nell’ultimo Consiglio ordinario disponibile, la maggioranza è stata battuta sulla proposta dell’ordine dei lavori, perché la sindaca Raggi ha voluto imporre una delibera sulle aziende partecipate.
Dopo cinque anni di disastri, di inerzia, di cambi di management e di società portate al fallimento, la maggioranza ha presentato un piano di razionalizzazione delle partecipate di Roma Capitale. Un assurdo tentativo in extremis, pre campagna elettorale, sganciato da qualsiasi visione strategica.
È surreale vedere piani qualificati come urgenti e messi in piedi in fretta e furia, quando, per cinque anni, è stata proprio l’opposizione a sollecitarli, senza mai essere ascoltata. Progetti predisposti senza dialogo, senza audizioni e approfondimenti; pericolosi e impossibili da approvare in pochi giorni.Il gruppo del Partito democratico insieme alle opposizioni ha sventato questo blitz, certificando, ancora una volta, l’incapacità di una maggioranza che non è più tale ormai da un anno.
L’arroganza senza numeri della Raggi purtroppo, però, ha un costo salato per tutti i romani perché han impedito di votare atti importanti come, ad esempio, la delibera sul Lago della Snia e il regolamento centri anziani.Fortunatamente tra un mese andremo al voto, l’augurio e il motivo del mio rinnovato impegno è quello di vedere una maggioranza diversa, con Roberto Gualtieri e una visione coraggiosa, competente e condivisa di Roma.
Stefano e il Comitato di quartiere Centro Giano
“Il nostro unico interesse è che i luoghi pubblici rimangano tali, perché più chiudiamo gli spazi, più perdiamo gli spazi”
Stefano Cisale, Presidente del Comitato di Quartiere Centro Giano, sintetizza così la sua visione del rapporto tra cittadinanza, politica e beni comuni. E mentre parla si guarda intorno, come a voler sottolineare il luogo in cui si trova, concreto esempio di quell’idea. È una struttura ampia e ruvida, che sembra rivelare un’anima industriale, affiancata, all’esterno, da uno spoglio cortile in cemento. Un luogo che per anni è stato abbandonato e di cui la cittadinanza ha deciso di riappropriarsi, animandolo con eventi e attività, dai corsi di ginnastica dolce alle presentazioni di libri, dalle conferenze alle cene condivise. “È un posto per socializzare”, racconta Stefano, “i ragazzi lo vivono, vengono a giocarci a calcio, ci si scambiano i primi baci, le prime sigarette”. Un punto di riferimento, quindi, per una zona che, come molte altre a Roma, soffre di un’atavica mancanza di spazi di aggregazione.
Eppure, Centro Giano, ad ascoltare l’opinione di chi ci vive, potrebbe davvero essere un gioiello. “Questi quartieri hanno tutte le possibilità per diventare un vero volano, però ci vuole l’intelligenza dell’ascolto e la capacità di allacciare nodi”. La realtà, invece, va in tutt’altra direzione, e anche risultati che dovrebbero essere ovvi si ottengono solo alla fine di lunghe battaglie. Come il problema degli allagamenti, di cui il quartiere ha sofferto per decenni, complice una posizione poco fortunata che lo colloca tra due fossi e sotto il livello delle aree circostanti. Una piaga che è stata arrestata solo nel 2017, quando l’impegno del Comitato è riuscito a ottenere il definitivo adeguamento dell’impianto di sollevamento di Acea ATO 2. “C’è poi il tema della discarica abusiva che si trova sempre accanto all’impianto Acea”, racconta Stefano, “e che è arrivata a essere talmente ampia da invadere la strada e da impedire il passaggio alle macchine e alle persone con disabilità”. Anche in quel caso, l’insistenza dei cittadini ha premiato: oggi i rifiuti non ci sono più e l’area è controllata da telecamere. Per non parlare, infine, del Sentiero Pasolini, un corridoio ciclopedonale che potrebbe collegare Roma e Ostia Antica. “Sarebbe la ciclabile perfetta, se venisse mantenuta bene”.
Un passo alla volta, una conquista alla volta. Ma con la sensazione di essere abbandonati e con lo sconforto di vedere fondi pubblici sprecati per iniziative che stentano a partire. Anche su questo, Stefano ha le idee chiare. “Quei soldi dovresti metterli su finanziamenti mirati, parlando con associazioni, gruppi di interesse, piccole polisportive, ma anche insegnanti, parrocchie, asili; così riesci a creare delle situazioni positive e con pochi investimenti il quartiere si autogoverna”. D’altra parte, connettere le realtà locali per dargli forza è proprio la direttrice lungo cui si muove il Comitato di Quartiere Centro Giano. “Cerchiamo di attivare ponti, che per noi è una delle cose fondamentali dell’essere umano; questo vuol dire creare legami tra le persone, farle parlare, farle incontrare, anche fisicamente, per fare cultura e generare dibattito”.
Il racconto di Stefano fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Ho conosciuto Stefano e il Comitato di Quartiere Centro Giano 5 anni fa, poco prima delle elezioni amministrative. Mi hanno colpito la competenza, le pratiche innovative, il rapporto con il territorio e la capacità di far sentire ognuno membro di una comunità viva, coesa e responsabile.
Ivano e la scuola popolare di scacchi a Villa Giordani
Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città.
Anni ’60. Campagna emiliana. Dopo una giornata di lavoro nei campi, i contadini si ritrovano nel bar della cooperativa, quello che hanno costruito tutti insieme, quello che rappresenta il cuore sociale del paese. C’è chi gioca a bocce, chi a carte, chi a scacchi. I bambini osservano gli adulti, impegnati in queste curiose attività, intervallate da chiacchiere e sfottò in dialetto. È in questa scenografia, verace e popolare, che Ivano Pedrinzani ha avuto il primo incontro con una scacchiera. “Ho imparato a giocare da piccolo, avevo 6 anni, e non ho più smesso”. Per qualche tempo ha frequentato anche il giro dell’agonismo, poi si è dovuto fermare. La passione, però, è rimasta ed è riemersa sotto altre forme, quelle dell’insegnamento e della Scuola Popolare di Scacchi di Villa Gordiani, fondata nel 2009 insieme ad altri due amici. Cinquecento euro a testa e una scommessa: portare gli scacchi in periferia, togliendo a questo antico e nobile sport la fuorviante patina di elitarismo che lo accompagna.
L’immagine stereotipata dello scacchista, infatti, è quella di un uomo solitario, dal volto scavato e dallo sguardo intenso, concentrato solo sui pezzi che ha davanti e sconnesso dal resto del mondo, possibilmente ricco, così da avere tempo a disposizione per studiare posizioni e mosse vincenti. “In realtà non è così”, spiega Ivano, “gli scacchi hanno una forte dimensione sociale; ad esempio, uno dei momenti fondamentali nella crescita di uno scacchista è quello in cui si rivedono le partite in gruppo, perché ognuno porta il suo contributo all’analisi e si migliora insieme”. Sociale e anche popolare. Perché per comprare una scacchiera bastano 20 euro e per sostituire l’orologio che scandisce l’avanzare delle sfide va bene anche un’app gratuita da scaricare sullo smartphone. Secondo Ivano e i suoi soci, però, la “popolarità” degli scacchi non si riduce all’aspetto economico, ma coinvolge la dimensione culturale e quella educativa. “È per questo che teniamo corsi nelle scuole, organizziamo attività in carcere e nei reparti pediatrici degli ospedali, promuoviamo manifestazioni di piazza e abbiamo anche contribuito all’allestimento di uno spettacolo teatrale”. Un approccio che mette in secondo piano agonismo e risultati, che comunque non mancano. La Scuola, infatti, può contare su circa 150 soci, di cui un centinaio iscritto alla Federazione Scacchistica Italiana, schiera una squadra in serie B e un in serie C ed è organizzatrice di “Roma Città Aperta”, festival internazionale che ogni anno attira nella capitale oltre 200 campioni da tutto il mondo (l’ultima edizione è del 2019, causa Covid, ma tornerà nel 2022). Il tutto contando solo sulle proprie capacità di autofinanziamento.
Come dichiarato fin dal nome, però, l’attività principale della Scuola Popolare di Scacchi è e rimane l’insegnamento. Molti corsi in sede, che durante il lockdown si sono trasferiti online, ma anche tanta presenza nelle scuole. “Nel 2017”, racconta Ivano, “abbiamo siglato un protocollo con il V municipio e siamo i loro fornitori ufficiali di lezioni di scacchi nei diversi istituti”. Dall’infanzia fino al liceo, ovviamente con un approccio che cambia al variare delleetà. Un impegno in linea con una dichiarazione del 2012 del Parlamento Europeo, che ha chiesto agli stati membri di inserire questo sport nella normale attività didattica. “Gli scacchi sono importantissimi nella formazione dei bambini, soprattutto oggi che abbiamo a che fare con una generazione abituata ai ritmi veloci dei videogiochi, che fatica a mantenere la concentrazione”. Ivano ne è convinto, confortato dalla lettura di molti studi sul tema ma anche dall’esperienza personale sul campo. “I più piccoli, all’inizio, fanno una mossa e si distraggono, magari guardano per aria e sono impazienti, poi, con il tempo, si abituano e dopo due o tre anni li vedi che riescono a stare concentrati sulla scacchiera, per capire che mossa devono fare”.
Il racconto di Ivano fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Ho scoperto la Scuola Popolare di Scacchi per caso, insieme alla mia compagna, mentre eravamo alla ricerca di un corso per imparare a giocare. L’incontro con Ivano e con la sua struttura è stato molto significativo, perché mi ha aperto alla conoscenza di un mondo che ha importanti risvolti sociali e educativi.
AL PASSO CON MONTESPACCATO
Montespaccato racconta una storia che è comune a quella di molte altre zone periferiche di Roma.
Stesse difficoltà, stessi problemi ma anche stesso impegno di pezzi importanti della comunità, nel tentativo di migliorare la situazione. Eppure, non ha la medesima notorietà di altri quartieri difficili e quindi non raccoglie un’uguale attenzione. Elena, con cui ci siamo incontrati subito dopo la fine del secondo lockdown, mi ha fatto vedere alcuni luoghi simbolo e raccontato Montespaccato dal punto di vista di una ragazza che ci è nata, ci vive e ci ha svolto, per molti anni, attività come scout. L’assenza di spazi per i giovani, la morsa della criminalità organizzata, la mancanza di molti servizi, le carenze del trasporto pubblico che rendono il resto di Roma troppo lontano (eppure il quartiere si trova dentro il perimetro del GRA, più vicino al centro di tante altre zone). Un’oasi di solitudine, praticamente. Un luogo in gran parte dimenticato.
Di esperienze positive, però, ce ne sono diverse, segno di una comunità attiva e vitale. La più interessante è quella dell’ASP Asilo Savoia, che si occupa di servizi alla persona, offrendo supporto a giovani, famiglie e anziani. Una realtà sorta all’interno del Centro Don Pino Puglisi, struttura sportiva sequestrata al clan Gambacurta.
Incontrare queste esperienze, parlare con gli abitanti, conoscere difetti e potenzialità di ogni territorio.
Non c’è altro modo per iniziare a colmare la distanza tra politica e persone, o almeno per provare a farlo, visto che si sta drammaticamente allargando. Una distanza che non è solamente geografica ma è soprattutto di fiducia, e che quindi richiede un concreto impegno di ascolto.
Di seguito trovate il video:
La riqualificazione zoppa della Stazione Tiburtina
Stamattina si è svolta la commissione trasparenza, richiesta da me dopo aver tentato invano di ottenere risposte per ben sei mesi.
Presso la Stazione di Tiburtina i lavori di riqualificazione sono in corso, ma il progettista ha dimenticato di prevedere i servizi igienici. 300 autisti e verificatori che stazionano nel piazzale, ma chiaramente anche gli utenti stessi, rischiano quindi di ritroverarsi un capolinea inadeguato alle loro esigenze.
Ma non è l’unico difetto di questo intervento, per il quale mi sono ritrovato a chiedere più volte correttivi urgenti.
Il problema di fondo è che si tratta di un progetto portato avanti senza prendere in considerazione le istanze dei cittadini, che avevano già elaborato una loro proposta di riqualificazione, dal marcato carattere “green”, e presentato una delibera di iniziativa popolare, accompagnata da circa 8mila firme, poi bocciata in Consiglio comunale. Chiedevano spazi pedonali e verdi e aree ciclabili, si sono ritrovati con quella che definiscono “una distesa di bitume” e “uno scempio”. Un muro di cemento che ha comportato l’abbattimento di tutti gli alberi presenti.
Non è così che si rigenera Roma, con un approccio approssimativo rispetto alle trasformazioni urbanistiche, senza sensibilità e senza partecipazione. I cittadini devono essere coinvolti e ascoltati perché i processi migliori partono sempre dal basso. Perché è chi vive un territorio che ne conosce le esigenze e può fornire un punto di vista unico e reale.
All’amministrazione, poi, spetta armonizzare queste richieste con una complessiva idea di sviluppo della città.