Le Paralimpiadi sono lo Tsunami culturale che ci serve
Tra qualche ora si apriranno ufficialmente le Paralimpiadi di Tokyo 2021, alla loro 16ima edizione. Quando ne parlo, mi piace spesso ricordarne la straordinaria storia.
L’idea nasce dalle intuizioni di Ludwig Guttmann, un neurologo inglese che si occupò dei reduci della Seconda Guerra Mondiale che avevano avuto lesioni alla colonna vertebrale e che per questo non potevano più camminare; decise di proporre loro lo sport come metodo di terapia, sia fisica che psicologica, e nel 1948 organizzò i Giochi di Stoke Mandeville, in contemporanea con le Olimpiadi di quell’anno, a cui parteciparono atleti in sedia a rotelle. Nell’edizione dei Giochi del 1952 parteciparono atleti con disabilità diverse ed anche di origine olandese; è così che negli anni nacque il movimento paralimpico e la competizione divenne un evento sportivo internazionale.
In Italia il movimento, nato al CPO di Ostia grazie all’impegno del medico Antonio Maglio, sta vedendo negli ultimi anni una crescita esponenziale che ci permette di partecipare a #tokyo2020 con una delle delegazioni più numerosa di sempre, formata da 115 fra atlete e atleti.
Le Paralimpiadi oggi possono rappresentare un vero e proprio tsunami culturale! Attraverso le loro prestazioni, infatti, le atlete e gli atleti ci fanno osservare le cose da un’altra prospettiva, facendoci percepire la disabilità non come sinonimo di mancanza di dinamismo o di debolezza, ma come una forza: la forza di voler superare i limiti e realizzare performance sportive di alto livello. Ed è proprio coltivando questa nuova prospettiva che si possono cambiare le cose, iniziando a pensare alle città, ai servizi e allo sport non più per categorie (disabili e normodotati) ma accessibili a tutti.
E allora in bocca al lupo alla nostra grande delegazione di azzurri!
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