Roma Pride 2025: una festa, ma soprattutto una lotta collettiva
Sabato ho partecipato, come ogni anno, al Roma Pride.
La prima volta che ci sono stato era il 1998. Avevo 15 anni e in quella piazza ho cominciato a capire il senso profondo di tante battaglie: rivendicare dignità, libertà, visibilità.
Fortunatamente, da allora molte cose sono cambiate. Ma non abbastanza.
Servono diritti concreti, politiche pubbliche, educazione alle emozioni e alle differenze.
Il Pride non è (solo) una festa: è una forma di resistenza. È memoria, politica, lotta collettiva contro ogni forma di discriminazione, patriarcato, violenza di genere e omolesbobitransfobia.
Mentre in Italia si fatica a fare passi avanti, in alcuni Paesi europei – penso all’Ungheria di Orbán – il Pride viene ostacolato o addirittura vietato. È un campanello d’allarme che riguarda tuttə: i diritti si conquistano con fatica, ma si perdono in fretta se non li difendiamo insieme, ogni giorno.
Come militante e come amministratore democraticə, continuo a credere che la giustizia sociale passi anche da qui: dalla capacità di ascoltare, rappresentare e sostenere ogni corpo, ogni identità, ogni voce marginalizzata.
Finché una sola persona sarà costretta a nascondersi, nessunə sarà davvero liberə.
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