Ripresi gli scontri tra Israele e la Palestina
Sostenere la causa di un sola parte non è certamente il modo migliore per lavorare sulla pace.
Sono stato a Gerusalemme e a Gaza nel 2005, durante il ritiro unilaterale israeliano dalla Striscia.
Quel viaggio mi ha segnato per sempre, come un graffio indelebile che stimola il ricordo e torna a bruciare ogni volta che il conflitto in quei territori si riaccende.
Ho ancora negli occhi lo sforzo e l’impegno, la speranza viva dei circoli culturali palestinesi e israeliani che parlavano di pace, e che non hanno mai smesso di farlo, nonostante ogni tentativo sia stato finora vano.
L’avanguardia di dialogo che ho avuto la fortuna di incrociare, in un momento storico in cui sembrava si potesse finalmente davvero realizzare un incontro di coesistenza tra popoli, non è stata ascoltata a sufficienza, o forse non è stata ascoltata affatto.
Si tratta di una responsabilità chiara che ricade sui governi, sui fondamentalismi incrociati, sulla debolezza degli organismi internazionali.
Ma certo non ricade sulle persone, sul popolo palestinese e su quello israeliano.
Ecco perché, pur condividendo la condanna ad ogni violenza e ogni integralismo, non condivido la posizione, emersa in modo così fortemente maggioritario, anche nel PD, di chi si è schierato in questi giorni così nettamente e univocamente solo dalla parte di Israele.
Sostenere la causa di un sola parte non è certamente il modo migliore per lavorare sulla pace, sul dialogo, sull’obiettivo di convivenza tra due popoli, ancor prima che tra due Stati. Se si vuole porre fine a un conflitto in modo pacifico non si può parteggiare, se non per le persone che ne subiscono ogni giorno gli effetti, in termini di povertà, di privazione di diritti umani fondamentali, di paura, di occupazione dello spazio fisico e psicologico. Il nostro impegno come attori e osservatori internazionali deve allora essere sempre orientato al dialogo, alla condanna di ogni violenza, alla valorizzazione di ogni punto di vista che faciliti il percorso verso la formazione di due Stati che possano convivere, al diritto.
Questo è il compito di tutti i democratici, in ogni parte del mondo. Io sono per la pace, sono contro la violenza politica e ricattatoria di Hamas e contro il colonialismo di conquista e la violenza militare sproporzionata di Israele, sono dalla parte dei popoli, del popolo palestinese e del popolo israeliano, del popolo unito di chi vuole la pace e la convivenza.
Non vedo alternative: nel momento in cui due popoli sono ostaggi dei propri governi e dei propri fondamentalismi, uno di questi popoli così muore, oppresso dall’altro, non può che essere questo il punto di partenza da cui fondiamo ogni ragionamento politico e umanitario.
“Promuovere una nuova stagione di impegno civile per la pace: questo è il senso dell’impegno che stiamo profondendo, in queste settimane, per lanciare da Roma un messaggio per la pace e la sicurezza per due popoli e due Stati, Palestina e Israele.
E la fiaccolata che ha attraversato le vie della città unendo la comunità palestinese e quella ebraica., l’abbraccio sul palco sotto il Colosseo tra i loro due rappresentanti, è stato un momento molto emozionante e significativo, una luce di speranza, il segno della possibilità di dialogo e di pace”. Era il 2002, sono parole di Walter Veltroni, all’epoca sindaco di Roma, un sindaco all’altezza della sfida di una grande capitale europea.
Ripartiamo da qui, dalle radici culturali di diritti, pace e dialogo che sono nella nostra storia, dall’umanità cui guardare ogni fatto del mondo, sapendo che ogni volta che tali radici vengono a mancare, in qualsiasi parte del mondo, questo ci riguarda.
Ripartiamo da qui, come Partito Democratico, come Paese, e anche come città: perché da Roma torni ad alzarsi un messaggio di umanità e convivenza pacifica e tra pari. . .
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