Maxiprocesso ai Casamonica: è associazione mafiosa
“Associazione mafiosa”. È questo il verdetto emesso oggi dai giudici del processo contro il Clan dei Casamonica. La sentenza, letta nell’aula bunker di Rebibbia, è rivolta a 44 imputati, tra i quali spiccano i nomi dei vertici della famiglia mafiosa. Un iter giudiziario lungo 18 mesi ed estremamente complesso, tra vittime reticenti per paura, pentiti che hanno subito minacce e la difficoltà, per gli inquirenti, di farsi strada in un reticolato di relazioni criminali che si è allargato fino a lambire volti noti e posizioni di potere. Per giungere a meta, ci sono volute costanza, tenacia e determinazione, sia da parte delle forze dell’ordine e della magistratura che delle poche ma decisive persone che hanno scelto di parlare e scoperchiare una cupola violenta e oppressiva. Associazione mafiosa. Finalmente una definizione giuridica restituisce dignità alle centinaia di donne e uomini che, ogni giorno, a Roma, sono vittime delle mafie. Quello dei Casamonica è un potere criminale che ha potuto agire praticamente indisturbato per decenni, favorito da un clima generale di incomprensione e sottovalutazione. Quelli che erano dei veri e propri boss mafiosi, infatti, venivano considerati alla stregua della piccola criminalità di strada, violenti ma senza strategia, quindi poco interessanti da un punto di vista investigativo. Purtroppo, anche grazie a questo atteggiamento, i Casamonica hanno potuto costruire il loro impero. Quella di oggi, quindi, è una sentenza fondamentale, da accogliere con soddisfazione, sottolineandone l’importanza politica, per le sue ricadute sulla vita della collettività. Perché chiamare le cose con il loro nome significa già dare loro una forma concreta, che può essere combattuta. Perché realtà come quella dei Casamonica si nutrono della nebbia, delle mezze verità, dell’omertà.
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