La vergogna della giunta Raggi su Farmacap
Quello che è successo oggi durante l’assemblea Capitolina è una delle pagine più tristi della storia della città.
Parliamo di Farmacap, l’azienda speciale che racchiude le farmacie di Roma Capitale, dei servizi sociali che erogano spesso e volentieri nei luoghi più fragili della città dove l’interesse è la centralità della persona, le sue esigenze, il servizio e non il profitto.
Davanti al Campidoglio le lavoratrici e i lavoratori in sciopero chiedono alla giunta #Raggi risposte che, ormai da troppo tempo, risponde con assenze e silenzi costanti.
Su Farmacap, su Ipa, su Roma Metropolitane, sulle aziende capitoline in generale, la soluzione della amministrazione M5S è lo smantellamento delle società, l’induzione al fallimento.
L’indirizzo dell’Assemblea Capitolina, al contrario, era stato chiaro: la messa in sicurezza e il rilancio, non lo scorporamento, non il fallimento. Era stato richiesto un piano programmatico, la nomina dei vertici aziendali e del collegio dei revisori, ma niente di tutto questo è stato fatto. In 4 anni si è ridotta la produzione per 11 milioni di euro, frutto anche di un management individuato dalla giunta assolutamente non all’altezza della sfida.
Oggi, davanti la Sindaca Virginia Raggi e il fallimento della sua giunta, tutti i dirigenti di Farmacap si sono dimessi parlando di inerzia del socio unico, e quindi di Roma Capitale. Inerzia che senza risposte concrete determinerà il fallimento.
E’ la certificazione che le promesse elettorali durano il tempo della campagna, poi però arriva il tempo del governo e quello che emerge è il fallimento di una giunta incapace, con l’amarezza del “ve l’avevamo detto” e la rabbia dei lavoratori che, per primi, pagano le conseguenze di questa incertezza.
Abbiamo terminato l’Assemblea alle 20.15 e tutti i nostri ordini del giorno sono stati bocciati.
La soluzione proposta? Fondere Farmacap con Zetema (che si occupa di Cultura).
Siamo alle comiche.
Roma deve essere Smart, ma prima di tutto una città umana
Una politica che non assiste, ma promuove e valorizza.
Ho letto le parole di Monsignor Gianpiero Palmieri, che seguo da sempre con attenzione, su quanto detto all’incontro “Le nuove povertà che cambiano Roma”:
“Lo stato delle cose dopo la pandemia è quello di una crisi sociale ed economica che ha pieghe di drammaticità. 137 sono diventati i presidi alimentari della Caritas, un aumento del 23%.
I nuovi poveri sono italiani, si parla di interi nuclei familiari, spesso donne sole con figli. I primi a cadere sono state le partite Iva e tutti quelli che sopravvivevano grazie a un lavoro precario o in nero, una forma di mantenimento che non dà diritto ad alcuna forma di assistenza da parte dello Stato. Persone che vivevano facendo i salti mortali e che sono caduti letteralmente in povertà perché non hanno più soldi per pagare l’affitto, le bollette e per mangiare.
La politica deve ricominciare a pensare come creare posti di lavoro e non solo a come tamponare la falla. Va bene aiutare chi è in difficoltà, ma se non si tornano a creare i presupposti di una dignità dell’essere umano che deve avere un lavoro del quale campare, la situazione rischia di protrarsi per un tempo indefinito”.
Condivido in particolare l’ultima parte del suo discorso, in cui mi ritrovo totalmente e che penso debba far riflettere in vista delle prossime amministrative: la costruzione di una proposta di governo della città, dove occuparsi prima di tutto delle persone ai margini, che pagano il prezzo della disuguaglianza, perché la Roma in cui voglio vivere deve essere Smart, ma prima di tutto una città umana.
Una politica che non assiste, ma promuove e valorizza.