Anna, Roberto e i diritti delle persone con disabilità
Ha un quaderno con la copertina rosa e rigida, Anna Agostinucci, e dentro ci scrive tutto quello che fa e che le succede durante la giornata. A che ora si è svegliata, se ha fatto il bagno, se ha avuto una visita medica, se è andata in gita. Nel fine settimana, ci scrive anche quale film ha visto al Cinema Teatro Don Bosco (rigorosamente allo spettacolo delle 16, perché quello delle 18 la costringerebbe a cenare in ritardo). È un quaderno prezioso, quindi, un rituale in cui appuntare altri rituali. Lo custodisce sulla scrivania della sua camera, quella in cui dorme da anni, circondata dalle foto di quando era ragazza e da quelle dei nipoti. “Annarella non si è voluta muovere da qui neanche dopo la morte di mamma”, racconta Roberto, uno dei suoi due fratelli maggiori, “anche se avrebbe potuto dormire su un letto matrimoniale”. Ciò di cui lei ha più bisogno, infatti, è la regolarità, la ripetitività delle abitudini, e ogni piccolo cambiamento nella sua vita quotidiana la innervosisce. Così come la infastidiscono i dottori e il sentir parlare di malattie.La morte della madre, avvenuta otto anni fa, è stata per Anna un punto di svolta, purtroppo in negativo. È rimasta a vivere da sola e le poche amicizie di famiglia che frequentava, già assottigliatesi nel tempo, sono definitivamente sparite. Oggi, a farle compagnia e ad assisterla, nella sua casa di #Cinecittà, c’è Francesca, una collaboratrice domestica. E poi c’è Roberto, unico familiare che le vive vicino, la sente tutti i giorni e la viene a trovare almeno una volta a settimana. “Abbiamo anche un altro fratello più grande”, spiega lui, “ma abita in Sardegna, è troppo lontano”. Un’altra brutta tegola, per Anna, è stato il Covid. Da quando è iniziata la pandemia, infatti, non è più andata a lavorare. È operaia in un asilo nido comunale e ora è ufficialmente in smart-working. Un’altra occasione di socialità che si è chiusa, un altro rito che si è interrotto. “A lavoro faccio le pulizie, poso i panni, tutto quello che mi dicono di fare”, racconta, “mi vogliono tutti bene, ogni tanto quando serve porto qualcosa, ho portato la sveglia per la cucina, lo sgommarello per fare da mangiare”.Da quando si prende cura della sorella, nata con un grave ritardo mentale, Roberto ha sperimentato sulla propria pelle gli sforzi e le frustrazioni a cui va incontro chi ha un familiare disabile quando deve confrontarsi con la pubblica amministrazione. “La burocrazia ti si mangia”, sospira con stanchezza. Un esempio su tutti è l’assurdo iter che ha dovuto affrontare per ottenere sette ore di assistenza domiciliare. “La domanda l’abbiamo presentata dieci anni fa”, spiega, “quando Annarella aveva meno di 60 anni, quindi abbiamo seguito la procedura prevista per le persone con disabilità”. Peccato che, nelle more della lavorazione della pratica (cioè anni), la sorella abbia varcato la fatidica soglia dei sessanta, trasformandosi, per la burocrazia, da disabile in anziana. A quel punto la procedura si è ulteriormente arenata e ci sono volute tanta pazienza e altrettanta tenacia per portarla fino al traguardo, raggiunto a dicembre del 2020. Poco diversa è la storia dei progetti del “Durante e dopo di noi”. “A Roma ancora devono approvare i progetti presentati nel 2020 e da realizzare nel 2021, e tra poco si apriranno le domande per l’annualità 2022”. Un paradosso, frutto anche di un’intricata sovrapposizione di competenze. I soldi del “#Dopodinoi”, infatti, sono stanziati dallo Stato, che li affida alle Regione che, a loro volta, li erogano ai Comuni, ma solo a fronte della presentazione dei progetti. Nel caso di Roma, però, si aggiunge un ulteriore passaggio: l’amministrazione comunale stabilisce le linee guida ma i progetti li fanno i municipi. Il risultato? La maggior parte delle proposte non vede mai la luce. E a farne le spese sono le persone come Anna e come Roberto.—[Il racconto di Anna e Roberto fa parte del progetto “Al passo con Roma – Storie di persone che fanno la città”, con cui ho deciso di dare spazio a esperienze e realtà significative. Ho incontrato Roberto quando mi ha sottoposto la storia della sorella, che aspettava ancora una soluzione. Da quel momento, è diventato un interlocutore fondamentale per tutti il lavoro fatto sul Dopo di noi.]
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